Aree rurali siciliane finite nel dimenticatoio?

  • di Redazione Il Solidale
  • 24 mag 2018
  • CRONACA

Aree rurali siciliane finite nel dimenticatoio?

Nonostante negli ultimi 30 anni la Comunità europea ha riversato fior di miliardi sulle aree rurali italiane, la Sicilia manifesta ancora un livello deplorevole di sottosviluppo.

Quasi tutti i comparti dell’agricoltura mostrano un arretramento economico e tecnico, molte aziende sono fallite, i costi di produzioni sono alle stelle, i prezzi dei prodotti non sono più remunerativi, realtà imprenditoriali parcellizzate, l’accesso al credito è diventato impossibile, molti agricoltori sono “prigionieri” di commercianti, speculatori e banche e non parliamo delle infrastrutture che lasciano a desiderare.

Basta andare per campagne per accorgersi lo stato d’abbandono in cui versa tutto il sistema agricolo; tutti i comparti, evidenziano difficoltà tecniche, organizzative, strutturali e gestionali.

Insomma, l’agricoltura siciliana è vecchia, stanca e in piena crisi. Lo dicono i numeri dell’importazione e dell’esportazione dei prodotti, le bestemmie, le preghiere e la pazienza degli addetti, ma lo dicono anche i prezzi che quotidianamente spuntano sul mercato che non lasciano altra via all’abbandono.

 

La burocrazia condiziona lo sviluppo

Non parliamo dell’asfissiante burocrazia di cui gli agricoltori sono gravati; imprenditori costretti a trascorre gran parte del loro tempo tra Caa, uffici di controllo, uffici fiscali, Ispettorati, ecc., tempo distolto alla loro attività imprenditoriale.

Ogni pratica è un cumulo di carte e documentazioni, a volte richieste in triplice copia e, in alcuni casi, supportate da materiale informatico. La esercitano le istituzioni pubbliche, ma anche i Caf (Centri di assistenza fiscale), i Caa (Centri di assistenza agricola), ecc.

Pesanti anche i ”costi” dovuti al fisco e alla sicurezza sul lavoro che incidono su di di ogni singolo imprenditore.

Ogni provvedimento che sembra essere a costa zero comporta delle spese aggiuntive, purtroppo, ogni occasione è buona per mettere le mani intasca agli operatori.

A questo agricoltore non si sa più che cosa far conseguire: patente per la guida del trattore, tesserino fitosanitario, corso per la sicurezza, corsi per l’igiene sanitaria, ecc., insomma, lo Stato vuole far diventare il nostro operatore agricolo come una specie di “superman”.   

 

Infrastrutture al collasso

Oggi le aree rurali sono abbandonate a se stesse. Le strade principali e quelle secondarie sono in uno stato disastroso. Molti territori sono ancora privi di luce elettrica, di condutture idriche, (però abbiamo la rete Wireless) opifici abbandonati, opere incompiute, con  il risultato che la mancanza di questi servizi essenziali costringono i giovani a scappare delle campagne. Difficile trovare un operaio anche generico, non parliamo dei potatori, innestatori, o altre forze specializzate. L’unica forza bracciantile è data dalla presenza degli immigrati.

Inoltre va aggiunto che quasi tutti comuni sono in default, opere incompiute, infrastrutture abbandonate, molti esercizi commerciali hanno chiuso l’attività o ridotta al minimo. E non parliamo delle infrastrutture che da anni non vengono più manutentate e lasciate all’abbandono.

 

Il PSR Sicilia (2014-2020)

Per il PSR Sicilia (2014-2020) erano stati individuati tre obiettivi strategici di lungo periodo: competitività del settore agricolo, gestione sostenibile delle risorse naturali e sviluppo equilibrato dei territori rurali (art. 4 Reg. 1305/2013), con lo Sviluppo rurale si dovrebbe quindi stimolare la competitività del settore agricolo, garantire la gestione sostenibile delle risorse naturali e l’azione per il clima, realizzare uno sviluppo territoriale equilibrato delle economie e comunità rurali, compresi la creazione e il mantenimento di posti di lavoro.

Lo sfracello presente nelle aree rurali siciliane mette in evidenza l’inadeguatezza dei vari PSR che risultano vecchi, inadeguati e soprattutto ininfluenti; basta pensare che il PSR regionale 2014/2020 è stato programmato nel 2010 approvato nel 2015 e dovrà essere attuato entro il 2020/2022; insomma tra ideazione e attuazione trascorreranno 10 anni. Sono questi i tempi europei? O agricoltura 2.0? Da considerare anche che diverse Misure e sub Misure, finanziariamente inadeguate e poco incisive, sono ad esclusivo utilizzo delle pubbliche amministrazioni.

Perché questo aiuti comunitari non sortiscono gli effetti desiderati? Venti anni di programmazione, ma qual’ è stato il beneficio di questi benedetti PSR? Nel corso di questi due appuntamenti elettorali regionali e nazionali tutti i politici, per incantare platee di agricoltori, alla ricerca disperata di consensi, armati di tecnico/burocrati, hanno effettuato i loro tour per i comuni, sbandierando opportunità esclusive per l’agricoltura e disegnando un quadro roseo per le nuove misure d’intervento. Una specie di mercato. Ad ogni esigenza c’è una Misura, il tutto per lenire ogni desiderio: Sfop, Psr, Feoga, Pac, Fep, Gal, Gac. ecc. Nessuno faceva cenno al fatto che quasi una buona parte delle Misure messe in campo del PSR prevedono finanziamenti alla stessa Regione, a Enti vari e organizzazioni di categoria. A questo va aggiunto le imposizioni obbligatorie d’attingere nel mondo parallelo della politica fatti da:  manager di consulenze, progettazioni, certificazioni, assicurazioni, ecc. cioè l’altro sistema della programmazione.  

Ma nonostante ciò, in Sicilia, molte Misure non partono, quindi rischiamo di perdere le somme dovute. E’ ancora ferma la Misura 16 Cooperazione, così come la 19 Sostegno allo sviluppo locale LEADER – (SLTP – sviluppo locale di tipo partecipativo). E non parliamo delle farse tragico comiche delle Misure 10 Pagamenti agro-climatico-ambientali e 11 Agricoltura biologica, entrambe, elargite a spezzatino, stralciate e con ritardi incomprensibili.

Gli ultimi assessori regionali all’agricoltura (5 0 6 si è perso persino il conto) impotenti e prigionieri di una burocrazia superata e faziosa, si trovano a rincorrere l’elefantiaca AGEA, ente foraggiato da fior di milioni  anche dalla nostra Regione, che li lascia dietro la  porta ad elemosinare quanto dovuto. A proposito, per le scadenze, le domande, ecc. AGEA pretende tempi europei, per l’elargizione degli aiuti si comporta come la repubblica delle banane. Nel frattempo speriamo che il nuovo assessore solleciti anche AGEA per la chiusura dei contenziosi pagando quanto spettante “picca, maliditti e subitu” e non posticipando il tutto alle calende greche. Così come dovrebbero prendersi delle decisioni sulle “antimafie anomale” magari con ulteriori indagini delle autorità competenti, che bloccano decine di milioni che potrebbero dare respiro ad una economia in affanno.     

E poi, perché dare trenta giorni di tempo per partecipare ad una bando regionale del PSR, mentre dalla fase di ricevimento a quella di finanziamento si impiegano mediamente quasi due anni?

Si consiglia inoltre ai potenziali beneficiari di PSR di avere almeno il 40% dei soldi dell’aiuto previsto dal PSR è non tuffarsi ad occhi chiusi nella mischia, poiché l’IVA si recupera soltanto alla fine,  pertanto va anticipata; poi ci sono i costi della fideiussione che verrà recuperata ma solo a rendicontazione, e considerato che le imprese non hanno i tempi della burocrazia, non resta che rivolgerti all’unico amico, si fa per dire, la banca, e caso mai ti accordano un prestito, cosa alquanto improbabile, si dovranno pagare gli interessi. 

Tutto ciò porta ad uno stato di difficoltà capace solo di innescare sconforto e sfiducia verso le istituzioni, ma soprattutto astrusità economiche che determinano la voglia di lasciar tutto e scappare via. E quando qualcuno decide di “partecipare ad un bando”, e si ha la fortuna di essere in graduatoria, tra bandi, disposizioni attuative, fac, note esplicative, burocrati e burocrazia, ecc. si arriva alla fine del finanziamento esausti.

 

La spending review e le aree rurali

In tempi di spending review le aree rurali vengono private di uffici, ospedali, servizi, scuole, banche, poste, ecc., tutto ciò viene genera sfiducia, demotivazione tutti elementi che non consentono di innescare strategie idonee a promuovere nessun tipo di sviluppo, così come investimenti per la creazione e il mantenimento di posti di lavoro che dovrebbero evitare l’esodo dalla campagna.

Questo debole sistema genera anche uno stato di precarietà che determina la retribuzione di lavoro sottopagato e in nero, l’insicurezza dei lavoratori, ecc. elementi si è istaurato un sistema di sottosviluppo che non coinvolge solo il mondo agricolo ma anche l’artigianato ed i servizi.

Alla popolazione rurale deve essere garantita almeno quel minimo di dignità umana che li convinca a rimanere per continuare a svolgere quel ruolo di “sentinella” che la politica le chiede. Potrebbe essere concesso una sorta di “reddito di ruralità” per chi risiede nelle aree rurali, per gli innumerevoli  disagi a cui è costretto quotidianamente a subire.

Invece si chiede di sostenere la “casta”, che non è formata solo da politici, ma anche da burocrati, banche, manager, organizzazioni di categoria, caf, caa, ecc. con balzelli di ogni genere.

Oramai la sorte di questi territori è segnata, fra dieci anni, continuando con questa politica incapace e sorda, non resterà più nessuno, e le nostre “sentinelle” ridotti senza munizioni, con le armi spuntate, senza forza e senza speranza andranno via cancellando per sempre la presenza del glorioso mondo rurale fatto di: patrimonio artistico, culturale, storico, enogastronomico, ecc.

Fateli produrre, riducete al minimo la burocrazia e offrite condizioni di mercato dignitoso, senza condizionamenti di commercianti e speculatori, con un sistema del rispetto dei prezzi garantiti per tutta la filiera analogo a quello utilizzato in Spagna e senza la concorrenza sleale di Stati le cui condizioni produttive, costo della manodopera e delle derrate, fiscale,  trasporti, compreso quello igienico sanitario sono irrisori.

 

Venti anni di programmazione

Venti anni di programmazione, divisa in quattro tranche: 1994/99, 2000/2006, 2007/2013, e ora la programmazione 2014/2020, ma qual’è stato il beneficio di questi benedetti PSR? Ci sono degli studi che documentano gli effettivi benefici di questi finanziamenti? La risposta si legge in uno studio degli economisti Roberto Perotti e Filippo Teoldi, dal titolo “Il disastro dei fondi strutturali europei”, dove oltre a venire documentato lo sperperio di fondi, si evidenzia come non ci siano tuttora studi validi che documentano il rapporto costo/beneficio di questi aiuti.

Nel 2013, la Corte dei conti europea ha curato un rapporto: “Misure per la diversificazione dell’economia rurale: gli Stati Membri e la Commissione hanno conseguito un rapporto costi-benefici ottimale?”, secondo tale rapporto, i fondi Ue per la diversificazione dell’economia rurale conseguono, un rapporto costi-benefici ottimale solo in misura limitata.

L’audit ha riguardato le responsabilità della Commissione e 6 Stati membri tra i quali l’Italia. A seguito di tale rapporto, la Corte raccomandava: “Nei loro programmi di sviluppo rurale (PSR), gli Stati membri dovrebbero individuare in modo chiaro come e perché l’intervento pubblico in favore degli investimenti in attività non agricole possa contribuire a correggere, ad esempio, le disfunzioni del mercato relative agli ostacoli all’occupazione ed alla crescita. Gli Stati membri dovrebbero quindi stabilire obiettivi specifici e misurabili in relazione a tali esigenze”.

 

Dove finiscono i soldi dei PSR

Ma a chi e dove vanno a finire i soldi dei PSR? Per fare chiarezza utilizziamo i dati riguardanti il 2010, pubblicati dall’INEA.

 

Suddivisione dei trasferimenti in politica agraria per l’Italia 2010

Origine dei fondi Milioni di euro %
Fondi Unione Europea 5.629 53,3
Fondi Stato Italiano 1.657 15,7
Fondi regionali 3.285 31,1
Totale fondi 10.570 100

“A questa cifra si deve sommare il “peso” delle agevolazioni che non sono soldi che entrano, ma soldi che non escono, nel senso che gli agricoltori pagano all’erario una cifra minore di quanto avrebbe­ro dovuto sulla base delle aliquote normali. Le agevolazioni, contri­butive e fiscali (fra queste, in particolare, il regime Iva al 5,6 percen­to e la riduzione del 3.2 sulle accise dei carburanti) ammontano nel ‘ loro complessivo a 3 miliardi e 300 milioni.

Mettendo tutto insieme si arriva a quantificare la misura del so­stegno all’agricoltura nel nostro paese: 13,9 miliardi di euro.

Cerchiamo ora di capire a chi vanno questi soldi e in che quan­tità. Al 42 percento delle aziende, quelle micro aziende che distin­guono l’agricoltura italiana, va appena il 3 percento del monte finanziamenti. Il che vuol dire che oltre 500 mila agricoltori ricevono dall’Europa un contributo inferiore a 500 (cinquecento!) euro l’an­no.

Un altro 24 percento di aziende beneficia di una erogazione che oscilla fra 500 e 1250 euro. Solo 80 mila aziende percepiscono fra i 5 e i 10 mila euro. La metà dei fondi, infine, se la spartiscono appena il 3 percento delle aziende, 35 mila aziende, insomma, incassano ciascuna fra da 20 mila a oltre 500 mila euro. Si potrebbe parlare di opposti estremismi.

In sintesi gli aiuti vanno a finire a chi ha più soldi, mentre ai meno ricchi arrivano solo pochi spiccioli. Ecco perché dalle aree rurali la gente va via, se a questo aggiungiamo i prezzi dei prodotti poco remunerativi il ragionamento è molto semplice. Le aree rurali resteranno solo aree per i benestanti. Tra l’altro non arrivano più investimenti destinati alle infrastrutture delle opere pubbliche, il risultato che è tutto completamente fermo.

Inoltre, nonostante questi programmi dicono che sono blindati, in particolari momenti perdono questa austerità per diventare una sorta di cassetto dove, di volta in volta, si tira fuori un’interpretazione che favorisce tizio o caio.   

Il paradosso è stato che nell’ultima programmazione alla fine sono stati stornati  50 milioni di euro della corrente programmazione per impiegarli per lo scorrimento di una vecchia graduatoria della precedente Misura 4, somme che sono venuti a mancare  e che stanno condizionando gli investimenti attuali, soprattutto dell’insediamento dei giovani.

Insomma, la politica apre o chiude i propri cassetti a piacimento, a seconda degli amici e dei parenti in graduatoria ed anche dalle sollecitazioni dei politici.

La Misura che riguarda l’insediamento dei giovani in agricoltura (40mila euro a fondo perduto più gli aiuti per gli investimenti) con un corso di 180 ore (finanziato dal PSR o pagato dagli stessi giovani)  consente di conseguire la titolarità all’insediamento  permettendo a figli e molto di più figlie di papà, spesso studenti o impiegati in altri settori molto più redditizi, d’accedere ai fondi europei, senza conoscere nemmeno dov’è ubicata l’azienda di famiglia, escludendo così i pochi giovani che avevano avuto la malsana idea di vivere veramente di agricoltura. Di questi giovani di cui qualche organizzazione di categoria lo indica come tendenza che riporterebbe i giovani in campagna se ne vedono ben poco, spesso si ritrovano genitori in pensione che con molti sacrifici tentano di non far morire la propria azienda. Naturalmente esistono le eccezioni, ma sono ben poco. L’unico risultato positivo è costituito dalle aziende multifunzionali il cui numero si aggirerebbe intorno a 100 mila in Italia e di cui soltanto la metà godono di buona salute.  Basta osservare i dati dell’ultimo bando Misura 6.1. Sono state oltre 3700 le domande presentate per il primo bando della misura del PSR dedicata alle start up di giovani imprenditori (mis. 6.1) pari a circa 4500 lavoratori da poter inserire nel sistema produttivo, ma di questi, solo un migliaio potranno goderne concretamente, poiché il plafond è di 40 milioni di euro, cioè 40 mila euro a persona di premio. Viceversa, la seconda misura dedicata ai giovani (6.2) relativa alla presentazione di progetti innovativi ha visto la presentazione di sole 450 domande in tutto il territorio siciliano e appena 52 a Catania.

Delle circa 580 aziende agrituristiche siciliane soltanto la metà continuano a prestare la loro attività ricettiva, le altre dopo avere preso gli aiuti hanno ristrutturato i propri patrimoni incrementando il capitale fondiario e sono scomparsi nel nulla. Si, perché nessuno controlla. I cinque anni successivi, obbligati per legge a non distogliere dall’attività il bene finanziato, da chi viene controllato?

L’altro argomento interessante è la promozione. Perché a nessuno è venuto mai in mente di analizzare i costi/benefici della promozione proveniente dai vari PSR, l’incidenza che hanno avuto, i risultati attesi, ecc.

Allora dice bene Alessandro Riganelli – Insieme per la Terra Umbria: “Che senso ha continuare a fornire soldi per investimenti ad un’agricoltura senza reddito, è come buttare acqua in una piscina bucata”. Gli fa eco l’economista Giulio Sapelli in un articolo di Repubblica: “Nessun paese ha tante società di consulenza sui fondi europei come l’Italia. Significa che, una volta ottenuto il finanziamento, questo spesso si disperde in mille rivoli, per cui all’obiettivo finale arrivano pochi spiccioli”.

Perché dare aiuti ad un’agricoltura sempre più tormentata dai mercati in costante ribasso, prigioniera da commerciati, mediatori e GDO padroni di mercati che strozzano costantemente produttori costretti a vendere comunque la merce per creare quel minimo di liquidità per continuare a tirare a campare.

La conseguenza è che i territori si stanno svuotando, prima sono andati via, e continuano  a emigrare i giovani con titoli di studio e una voglia di intraprendenza, poi le braccia lavoro, ora intere famiglie vicine al collassamento che cercano fortuna in altre parti del nord Italia e d’Europa. Continuando così, tra qualche anno le aree rurali siciliane resteranno deserte.

 

“Come salvare capre&cavoli”

Nelle aree rurali i numeri reali degli abitanti si sono dimezzati. La struttura economica è sostenuta esclusivamente dalle pensioni, che riescono a tenere a galla interi nuclei familiari.

E dice bene Franco Poggianti nel suo libro “Come salvare capre&cavoli”: “Il nostro paese non ha bisogno di “un’agricoltura”, ma di uno schema produttivo e organizzativo unici a cui ispirarsi. La forza della miracolosa agricoltura italiana è nella sua multiforme ricchezza, nella sua varietà, nella giusta opposizione di modelli, di ispirazioni differenti fra regione e regione, fra i diversi territori della stessa regione, dello stesso comprensorio.

Guai a parlare dell’Agricoltura italiana con la A maiuscola per ricondurla, violentandola, ad unità. Meglio, molto meglio, parlare delle “agricolture” d’Italia così come si sono andate determinando e specializzando nei corso dei secoli.

A saperlo valorizzare questo pluralismo produttivo, questa molteplicità può essere la carta vincente anche da un punto di vista economico. Potrebbe riportare per esempio un po’ di posti di lavoro dove da decenni non c’è che abbandono.

Semmai dobbiamo rafforzare l’impegno nel sostenere quelli che salvaguardano le produzioni tradizionali dall’estinzione, che riscoprono piante, vitigni e frutti dimenticati (all’oblio spesso segue, nel giro di qualche stagione, la scomparsa), che fanno qualità, spesso per passione.

A questi agricoltori bisogna facilitare lo sbocco verso il mercato, perché la loro fatica, la loro ricerca, abbia il giusto compenso.

È ora che qualcuno, nelle stanze della politica, cominci a riflettere che, forse, la campagna ha delle potenzialità che non sono sfruttate a pieno: che forse un progetto ragionato potrebbe prendere corpo a partire da dati di fatto che sono già sotto gli occhi di tutti; che gli agriturismo tirano anche al tempo della crisi; che il turismo enogastronomico, che ha già numeri di tutto rispetto, comincia a far presa sui giovani; che la vendita diretta nelle fattorie non solo di prodotti freschi, ma anche di “semilavorati” e di conserve, ha ancora margini di espansione.

Ed è tempo che rifletta anche il mondo agricolo nel suo insieme e si dia una mossa senza aspettare la pappa scodellata.

Un’idea che fondi l’agricoltura del terzo millennio non si vede all’orizzonte. D’altronde nessuno si aspetti che cada dal cielo: un progetto di rilancio non può che nascere sul campo ed essere animato dai protagonisti, gli agricoltori stessi e le loro organizzazioni professionali. A loro spetta incalzare le istituzioni, imporre soluzioni”.

Redazione