Raddusa, festa per i tre anni dello Sprar
- di Redazione Il Solidale
- 15 nov 2017
- SOCIALE
Nei giorni scorsi i dirigenti, gli operatori e tutti i migranti ospiti dello Sprar di Raddusa hanno festeggiato i primi tre anni di attività della struttura. Sono passati appena tre anni e sembra già un secolo che nella città del grano vivono una trentina di giovani immigrati che sono stati bene accolti dalla popolazione raddusana dopo i diversi sbarchi avvenuti a Lampedusa, ad Augusta, a Pozzallo ed a Palermo, salvati dalle motovedette della Guardia Costiera che li aveva raccolti prima che potessero annegare in alto mare a causa dell’avaria dei gommoni che li stavano trasportando verso la Sicilia. Nei tre anni di attività sono tanti i giovani migranti i cui nomi sono stati iscritti nel registro dello S.P.R.A.R. (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) di Raddusa e in quello del C.P.A. (Centro di Prima Accoglienza) della città di Caltagirone che gestisce tutti gli Sprar del calatino. Oggi i ragazzi migranti ospiti dello Sprar di Raddusa sono poco meno di una trentina; essi vivono tutti i giorni a stretto contatto con i cittadini raddusani e sono consapevoli di essere stati bene accettati da un paese straniero che ha riconosciuto il loro diritto di esistere dopo i pericoli che hanno corso per raggiungere la “terra promessa”. Al contrario di quei migranti che in Sicilia sono arrivati, e continuano ad arrivare, dal Marocco dalla Siria, dall’Egitto, dalla Libia e dall’Eritrea, i ragazzi ospiti dello Sprar di Raddusa sono arrivati dal Malì, dalla Nigeria, dalla Guinea Conakry, dal Gambia e dal Pakistan. Alcuni sono scappati dalla guerra e dalla fame ed a tutt’oggi non hanno ancora smaltito la sensazione di oscillare sul barcone che li ha sospinti verso la Sicilia. Sono approdati nella nostra terra spaesati e disorientati, con addosso pochissimi indumenti. Quando vennero condotti a Caltagirone presso il Centro di Prima Accoglienza non era facile capirli perché si esprimevano soltanto con i gesti. Solo alcuni di loro tentavano l’approccio masticando una lingua particolare che conteneva un misto di inglese, francese e portoghese. Della lingua italiana conoscevano solo poche sillabe declinate con una fantasia coraggiosa e arrangiata come: ciao, amico, pace, grazie, fame, sete, pane e acqua. Appena giunti a Raddusa, dopo avere vinta la loro battaglia contro la morte, tutti sono riusciti a crearsi il loro spazio comportandosi nel migliore dei modi e improvvisando un modo per convincere se stessi che, nonostante le mille difficoltà incontrate nel corso del loro lungo e tormentato tragitto, erano salvi ed ancora vivi. A Raddusa sono stati accolti con amore e, grazie all’impegno profuso dagli operatori tutti e dai coordinatori responsabili dello Sprar, si sono integrati perfettamente nel tessuto sociale locale ed ora, che alcuni di loro hanno imparato a parlare bene anche il dialetto raddusano, contano parecchi amici con i quali condividono il tempo libero della loro giornata fatta di studio e di svariate attività integrative. Hanno studiato ed appreso le principali cognizioni della lingua italiana e di quella inglese e tutti hanno partecipato a svariate attività integrative sia nel sociale che nello sport. Se, dopo tre anni, i giovani ospiti della struttura Sprar di Raddusa hanno raggiunto un ottimo livello di integrazione, buona parte del merito va dato, senza ombra di dubbio, ai coordinatori responsabili ed a tutti gli operatori che, nel corso dei tre anni, si sono alternati nella guida della struttura stessa. Nella fotografia gli ospiti dello Sprar di Raddusa in festa per i tre anni di vita della struttura.
Francesco Grassia
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