La fine (sugli schermi) del sogno americano

  • di Redazione Il Solidale
  • 22 set 2016
  • CULTURA

La fine (sugli schermi) del sogno americano

L'involuzione del cinema americano coincide con la sua progressiva mercificazione. Per le case produttrici, la pellicola è un progetto d'investimento, non culturale. Quindi per mantenere il tasso di profitto, ci si affida sempre più alla tecnica, per ridurre i costi; ai ricavi del "merchandising" (mercificazione al quadrato), per prolungare le entrate derivanti dalla vendita dei biglietti; e soprattutto a schemi narrativi ripetibili all'infinito per accorciare i tempi di produzione - in questo la Disney, che ha industrializzato la favola, è il modello da imitare. 

Gli sceneggiatori di talento, notoriamente sottopagati e maltrattati da Hollywood, hanno trovato spazi d'espressione alternativi nei canali a pagamento e, più di recente, nella televisione su internet: mezzi ai quali non si estende la censura. Qui, a differenza del cinema e della televisione in chiaro, dove la sconfitta del male e il lieto fine sono obbligatori, si trovano i migliori esempi di un realismo che sfida la tradizione cinematografica, in particolare quella del siciliano Frank Capra e dei suoi melanconici protagonisti tenacemente buoni. In effetti il tema ricorrente è la fine del sogno americano, incarnato da anti-eroi sovversivi. 

Le due serie più rappresentative di questa tendenza e più riuscite sono "House of Cards" ("castello di carte"), che si svolge nella capitale Washington e nei centri nevralgici della nazione americana; e "Breaking Bad" ("sfidando l'autorità scatenando l'inferno"), che si svolge invece in Arizona, alla periferia geografica del paese e nel deserto sociale dell'anonimato. D'altro canto, è interessante osservare come in entrambe le serie sia fondamentale la componente "sudista" - richiamo al mancato riscatto - come elemento di squilibrio dell'egemonia culturale nordista-perbenista. 

La prima racconta l'ascesa di un politico senza scrupoli ai vertici del potere, mentre vede la moglie, sua odiosa complice, evolversi nel suo alter ego. Fin dall'inizio, lo spettatore è direttamente coinvolto nello sviluppo del suo disegno criminale: in pause caricaturali, il protagonista gli rivolge direttamente i commenti sulle proprie azioni. Per gli americani - che non conoscono Sade o Pasolini - la novità assoluta di questa serie consiste in ciò che mostra, non il "lato oscuro" del potere (cosa che li affascina), né il suo "lato nascosto" (che li intriga), bensì il suo lato osceno (nei limiti concepibili in una società di matrice puritana). Di certo, non sfugge agli autori la verità su cui si fonda il mito nazionale: ossia che il potere esiste non perché c'è chi lo esercita, ma perché c'è chi lo serve. 

Un'altra ascesa, ma nella modalità opposta della ribellione, è quella di un chimico di mezza età in "Breaking Bad". Sarebbe stato milionario se non avesse disinvestito da un'azienda costituita con i colleghi d'un tempo: si ritrova invece insegnante di liceo che arrotonda lavorando in un autolavaggio, con un figlio disabile, e asservito ad una moglie mai diventata donna. Finché scopre, nonostante lo stile di vita impeccabile, di avere il cancro: e così, con un suo ex studente, altrettanto brillante e disilluso, che si improvvisa "cuoco" (cioè sintetizza metanfetamina, una droga diffusa), intraprende una carriera criminale sotto il naso del cognato, fiero agente dell'antidroga. La serie è una metafora del rischio d'overdose: la sua particolarità sta nella messa in scena di personaggi interamente definiti non dalla loro moralità o dimensione psicologica, bensì dal loro potenziale individuale, e dai modi in cui, nell'alchimia degli incontri casuali, si realizza o si esaurisce.

Marco Amuso