Il Racconto: Arrivo al Cara dei naufraghi della tragedia del 19 aprile

  • di Redazione Il Solidale
  • 1 giu 2015
  • CRONACA

Il Racconto: Arrivo al Cara dei naufraghi della tragedia del 19 aprile

Mineo. Sono da poco passate le due del mattino. Il cielo è più buio del solito, mentre una coltre di silenzio avvolge il Cara e la campagna circostante, dove non si ode neanche lo starnazzare e il gufare degli uccelli notturni. Nei punti nevralgici della struttura la fibrillazione è però alle stelle. Infatti, da lì ad una decina di minuti, il Centro più grande d'Europa sarebbe stato raggiunto dai diciotto naufraghi, scampati all'immane tragedia marittima del Mediterraneo. Intorno alle due ed un quarto, si scorgono sulla Statale i riflessi di tre macchine della polizia, che scortano il pullman al cui interno trovano conforto e riparo coloro che, per alcune ore, hanno oltrepassato la soglia dell'inferi per poi far ritorno nel mondo.  Dopo qualche minuto il mezzo della Prefettura varca il cancello e si dirige direttamente ai padiglioni, che per l'occasione sono stati trasformati in punto d' accoglienza. Il pullman si accosta vicino al marciapiede, su cui carabinieri e finanziarie nel frattempo hanno dato vita a due cordoni di protezione. I naufraghi scendono dal mezzo uno alla volta, e si recano a passo appesantito dentro il padiglione . La maggior parte di loro, nel cui sguardo perso è facile scorgere i tratti più crudi della tragedia, tiene in una mano una busta con effetti personali ed alcuni fiori, che hanno ricevuto in dono sul molo di Catania. Indossano tute gialle o arancione - quest'ultime fortemente evocative di un altro olocausto che si sta consumando in Medio Oriente in nome di un'ideologia sadica e perversa -  che emanano nell'ambiente un olezzo di nafta e salsedine, le fragranze di una notte assurda per l'umanità. "Vi accogliamo con amicizia ed a nome dell'Italia porgiamo a tutti voi le più sentite condoglianze per la tragedia". Parole sobrie, ma nel contempo fortemente evocative, quelle che ha pronunciato il direttore del Cara, Sebastiano Maccarrone, che, superata una prima fase di comprensibile emozione, ha iniziato a delucidare, con l'ausilio dei mediatori culturali, le procedure a cui sarebbero stati sottoposti i diciotto naufraghi. Nel compound, affollato da avvocati, medici, operatori, psicologi ed assistenti sociali, c'è tanta voglia di sbracciarsi, di assistere e soprattutto di accudire, come si fa con un nascituro appena venuto al mondo, gli scampati, ovvero coloro che hanno avuto la fortuna di scendere dal barcone dantesco di Caronte o di rivivere il passo evangelico sulla resurrezione di Lazzaro. Mentre il direttore Maccarrone spiega loro i servizi offerti dal centro, i loro sguardi sono persi nel vuoto, insignificanti, inespressivi e lustrati a lutto, sicuramente dal pensiero di avere lasciato in fondo al "mare nostrum", anzi nel cimitero "Mediterraneo", i compagni di viaggio. Quando viene avviata la fase identificativa, il loro encefalogramma inizia a pulsare: segni di vita, di speranza e forse di libertà. Ognuno di loro viene registrato, visitato e riceve un primo kit per i bisogni personali. Dopo appena quattro ore, il centro d'accoglienza più grande d'Europa viene preso d'assalto dalla carica dei "centouno", ovvero da giornalisti provenienti dai quattro angoli della terra alla ricerca spasmodica di uno scoop incurante del dramma personale, ma da immolare comunque sull'altare dell'informazione.