Giulio Regeni: una morte scomoda, ma forse non troppo?

  • di Redazione Il Solidale
  • 12 apr 2016
  • CRONACA

Giulio Regeni: una morte scomoda, ma forse non troppo?

Con il passare del tempo e il moltiplicarsi delle ipotesi smentite il giorno dopo, la conoscenza della verità circa la morte di Giulio Regeni è oggettivamente sempre più improbabile. Se le motivazioni dell'omicidio fossero criminali, lo sapremmo già e la polizia egiziana non avrebbe difficoltà a fornire agli inquirenti italiani elementi d'indagine in tal senso. Secondo la tesi più accreditata dai mezzi d'informazione, Giulio è stato eliminato perché scomodo al regime egiziano, a causa delle sue ricerche in un argomento lì politicamente delicato, il mondo del lavoro e dei sindacati illegali. Una tesi ragionevole; ma fantasiosa. In effetti, al governo egiziano, o agli egiziani in generale, dei lavoratori e delle loro condizioni non importa nulla, proprio perché pur essendo numerosi, non costituiscono una forza politica in grado di orientare il paese: questo era l'oggetto della ricerca di Giulio. 

D'altro canto, in paesi dove esiste una polizia segreta non riconosciuta pubblicamente (che quindi non si palesa nemmeno alle forze dell'ordine, poiché sorveglia anche quelle), gli stranieri davvero “scomodi” che a titolo religioso, accademico o puramente personale s'impicciano delle ingiustizie altrui invece di godersi la bella vita da espatriati, vengono osservati da vicino, pedinati e circondati da delatori, per valutare se effettivamente svolgono anche attività politiche in contrasto con il regime. A seconda del grado percepito di “scomodità” - se per esempio i sospettati sono a conoscenza di fatti non divulgati al pubblico, oppure diffondono presso la popolazione locale idee sovversive – allora vengono ostacolati nelle loro attività professionali; intimiditi, magari con qualche notte in cella, minacciati, direttamente o indirettamente tramite amici e conoscenti, e infine isolati e diffamati; se ancora insistono, allora vengono semplicemente cacciati senza la possibilità di tornare. I dissidenti veri sprovvisti di notorietà pubblica e i loro complici semplicemente svaniscono. In tal caso, gli stranieri e i locali si distinguono soltanto in quanto la scomparsa dei primi fa notizia, quella dei secondi invece no. La polizia segreta è pur sempre un organo del potere costituito: non intraprende azioni suscettibili di indebolire il sistema da cui dipende. 

Sappiamo che Giulio è stato torturato prima di essere ucciso. Questi sono i fatti, ma la certezza in realtà è altrove: l'unica in nostro possesso è il ritrovamento del suo cadavere, segnato da sevizie che, per numero, tipologia e brutalità indicano un accanimento spropositato rispetto alle pratiche degli interrogatori sotto tortura. 

Ho chiesto un parere ad un mio amico tunisino, diventato esponente di un partito di governo e funzionario presso il ministero della cooperazione internazionale nel suo paese dopo aver partecipato alla Rivoluzione dei Gelsomini. In merito alla vicenda non ha dubbi: "Nessuno ha mai creduto che il ragazzo rappresentasse una qualche minaccia", mi dice. Mi fa una sintesi del contesto politico egiziano. La lotta di potere interna si è cristallizzata fra due avversari: da un lato Al-Sisi e i suoi uomini, cioè le forze armate, e l'oligarchia degli affari, dall'altro i superstiti della lunga era Mubarak che occupano in modo capillare l'amministrazione dello stato, in particolare il ministero degli interni e la polizia – gli stessi cioè che dovrebbero indagare sulla morte di Giulio. Intanto, il presidente egiziano è impegnato a consolidare la sua posizione con alleanze personali all'estero: è nota la cordialità dei rapporti con Renzi e con Putin. L'Italia in effetti è il primo paese europeo ad aver ricevuto Al-Sisi dopo il suo colpo di stato. Giulio quindi è stato ucciso dai nemici di Al-Sisi per minare la sua credibilità internazionale. 

Chiaramente le autorità ufficiali a cui fa capo il presidente non possono ammettere né in privato né in pubblico l'esistenza di questo scontro interno, della sua posizione di ricattabilità, quindi di debolezza: pertanto non c'è alcun interesse a fare piena luce sulla vicenda – e infatti nessuna promessa, anche solo pro-forma, è stata fatta in questa direzione. Così si spiega la mancata assistenza agli inquirenti italiani. Ma, a mio parere, l'interesse per la verità sistematicamente enunciato come un mantra da parte del governo italiano, è di fatto notevolmente ridimensionato da calcoli geopolitici e affari macroscopici. La stabilità dell'Egitto, il più grande paese arabo, in un contesto medio-orientale più mutevole che mai, è assolutamente prioritaria per le potenze europee, pronte a sostenere qualsiasi laico al potere in grado di contrastare anche solo in apparenza il fondamentalismo islamico o le migrazioni; e ovviamente di garantire alle grandi aziende occidentali la loro rendita. 

Il 26 febbraio 2016, un mese esatto dopo la scomparsa di Giulio, l'ENI annuncia trionfante il successo dell'attività di perforazione del pozzo "Nidoco North 1X", cui produzione è stimata a 45.000 barili/giorno; contestualmente, si parla dello sfruttamento da parte dell'ENI in Egitto di altri tre bacini, che valgono secondo le previsioni 850.000.000.000 metri cubi di gas. Forse gli assassini di Giulio hanno sottovalutato interessi sui quali la sua morte non incide; o paradossalmente, attribuito alla sua vita un valore che invece il potere non gli riconosce.

 

Marco Amuso