Palermo ha ricordato il 3 settembre il prefetto Dalla Chiesa a 43 anni dalla strage di via Carini
- di Redazione Il Solidale
- 5 set 2025
- SOCIALE

(sc) PALERMO. Mercoledì 3 settembre, Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, in rappresentanza del Governo, ha partecipato a Palermo alle commemorazioni delle vittime dell’attentato del 3 settembre 1982 nel quale persero la vita il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente della Polizia di Stato Domenico Russo. Il titolare del Viminale ha deposto una corona d’alloro in via Isidoro Carini per poi partecipare alla messa presso la cattedrale di Palermo, animata dal Coro Fidelis dell’Associazione nazionale Carabinieri. Infine il ministro si è recato presso il cippo commemorativo dedicato al prefetto Dalla Chiesa, in via Vittorio Emanuele, dove un gruppo di bambini dei quartieri di Palermo ha deposto un omaggio floreale. (fonte foto: Prefettura di Palermo)
Il messaggio del ministro: «A nome del Governo, desidero porgere un cordiale saluto alle Autorità e ai cittadini presenti e rinnovare il più sentito cordoglio ai familiari del Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente scelto della Polizia di Stato Domenico Russo, che oggi ricordiamo a distanza di quarantatré anni dalla loro scomparsa, avvenuta per mano della mafia. La strage di via Carini continua a interpellare le coscienze di ciascuno di noi. Non solo in quanto evoca una delle pagine più buie della storia democratica del nostro Paese, ma anche perché rinnova il monito a mantenere sempre alta l’attenzione contro i tentativi di violenza e prevaricazione, allo scopo di assicurare la legalità e la giustizia, imprescindibili coordinate di riferimento per il corretto svolgimento della convivenza civile. Un’esortazione a iniettare solidi anticorpi nel sistema Paese, rivolta alle Istituzioni prima e ai singoli poi. In questo senso, la vita del Prefetto Dalla Chiesa e delle vittime di mafia rappresenta un esempio di rigore da seguire e, al tempo stesso, una fonte inesauribile di insegnamento. Il suo è stato un impegno non comune, totalizzante, portato avanti con straordinario coraggio negli anni più duri del contrasto al terrorismo e alla mafia. In un tempo in cui molti hanno preferito il silenzio, lui ha scelto di parlare, specie alle giovani generazioni, e di affrontare la criminalità a viso aperto, contando sulla forza della legge e sulla fermezza del proprio portato valoriale. Il Prefetto Dalla Chiesa non si è mai arreso di fronte al pericolo, convinto della necessità che ogni minimo intervento contro la mafia avrebbe contribuito a scoraggiarne l’arroganza e a minare le sue certezze. Per questo è stato, e lo è ancora, il simbolo di una resistenza che non si piega, di un’Italia che rifiuta la sopraffazione e sceglie la strada della legalità. La sua tragica morte, però, non ha segnato la fine della sua battaglia, perché la mafia, pur avendo spezzato la sua vita, non ne ha cancellato la storia. Una storia che racconta di una missione al servizio dello Stato e che trasmette una testimonianza potente e cioè che il vero coraggio è vivere nella giustizia, senza piegarsi alla paura. È stato proprio questo il monito che ha ispirato la sua azione in difesa della libertà e della democrazia; un monito con il quale intendeva stimolare una reazione da parte delle comunità afflitte dalla presenza delle mafie. E ciò attraverso il linguaggio di chi, chiedendo il rispetto della legge, è stato il primo a dare l’esempio, a non nascondere le difficoltà di un servizio che comporta responsabilità e sacrificio. Una strategia che partiva da una premessa. La mafia agisce dividendo, puntando a crescere ed espandersi maggiormente dove c’è disgregazione sociale, sfiducia nelle Istituzioni, povertà e isolamento. Per questo il Generale - Prefetto ha capito che l’unica strategia vincente per contrastare la mafia non poteva che essere quella dell’impegno di tutti, della coesione. Per lui non bastava solo un intervento militare o poliziesco, ma serviva uno sforzo collettivo - delle Istituzioni, della società civile e dei singoli - per creare un tessuto sociale solido, per costruire legami di fiducia e responsabilità tra i cittadini. È questo l’appello lanciato da quel grande uomo che, oggi più che mai, abbiamo il dovere di raccogliere e tramandare. Lo dobbiamo soprattutto alle giovani generazioni, per le quali lo Stato deve essere un punto di riferimento credibile. Lo dobbiamo in nome della giustizia e per rispetto di chi ha sacrificato la propria vita per la collettività. Dalla tragica scomparsa del Prefetto Dalla Chiesa e delle altre vittime di mafia, lo Stato però non si è arreso, dimostrando una capacità di resilienza senza pari. Il perimetro normativo contro la criminalità organizzata, introdotto proprio a seguito degli attentati degli anni ’80, è divenuto un modello di riferimento apprezzato nello scenario internazionale e si è via via perfezionato in ragione dei continui mutamenti operativi dei sodalizi mafiosi, maturando e via via strutturandosi. Dalla prevenzione al contrasto, dalla rifunzionalizzazione dei beni confiscati per scopi sociali o istituzionali all’erogazione di ristori alle vittime e ai superstiti delle vittime di mafia. Un impianto normativo che ha previsto misure di tutela sempre più rafforzate e che lo Stato sta cercando di mettere in atto con ogni sforzo. Negli ultimi anni, anche grazie a nuovi strumenti investigativi e normativi, l’impegno delle Forze dell’ordine, della magistratura e della società civile ha consentito di raggiungere risultati straordinari contro la criminalità organizzata. Per ricordare solo i dati di questa Legislatura, aggiornati allo scorso 31 luglio, nel corso delle centinaia di operazioni della Polizia giudiziaria contro la criminalità organizzata, sono stati arrestati oltre 4 mila soggetti, di cui 885 nell’anno in corso. Sono stati assicurati alla giustizia 103 latitanti, di cui 2 - Matteo Messina Denaro e Pasquale Bonavota - di massima pericolosità, e sottratti ai sodalizi mafiosi, tra sequestrati e confiscati, beni per un valore complessivo pari a oltre 6 miliardi di euro. Anche sotto il profilo della prevenzione, specie per tutelare l’economia legale, è stato fatto tanto. Nel solo 2025, sono state già adottate 576 interdittive antimafia, segnando un trend in crescita di quasi il 20% in più rispetto allo scorso anno. Ma l’attività finora svolta non si è limitata alla prevenzione e al contrasto. Nell’ottica di privare le organizzazioni criminali dei profitti illecitamente accumulati, allo scopo di destinarli a fini sociali e istituzionali e di renderli veri e propri presidi di legalità, dall’inizio dell’anno e fino allo scorso 31 luglio, sono stati restituiti alla collettività 5.979 beni, con un incremento pari a +22,8 % rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente. Voglio anche ricordare come il recente, nuovo decreto sicurezza ha previsto uno stanziamento strutturale di risorse in favore dei superstiti delle vittime della criminalità organizzata. Sono azioni rese possibili grazie ad una solida coesione istituzionale e che mirano a stratificare la cultura della legalità, specie nelle aree più depresse del Paese. Si tratta di un obiettivo primario di questo Governo. Il decreto “Caivano” ne è un esempio. Perché per sconfiggere la mafia non basta, per quanto incisiva ed efficace, la sola repressione delle azioni criminali. È necessario intervenire anticipando l’inquinamento mafioso, favorendo lo sviluppo di sensibilità e capacità di risposta e la costruzione di tessuti sociali sani, per corrispondere efficacemente alla domanda di sicurezza proveniente dalla società civile. Una strategia volta a non rendere vano l’estremo sacrificio di donne e uomini vittime della mafia, come il Prefetto Dalla Chiesa. La strada è quella giusta. Ed è un cammino che tutti siamo chiamati a percorrere: famiglie, scuole, Istituzioni. L’esempio di Carlo Alberto Dalla Chiesa indica la direzione da seguire e suggerisce con chiarezza quali sono le scelte da compiere. Si tratta di un dovere morale in nome del rispetto delle vittime della mafia. Per il bene del Paese. La sicurezza dei singoli. La tutela della libertà e della democrazia.»