"Play to Work": quando un gioco è utile ad informare su sfruttamento lavoro e caporalato

  • di Redazione Il Solidale
  • 22 lug 2020
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"Play to Work": quando un gioco è utile ad informare su sfruttamento lavoro e caporalato

CALTAGIRONE - Il gioco come strumento di informazione per aiutare i migranti ospiti dei Siproimi calatini, gestiti dalla Cooperativa “San Francesco s.c.s., ad apprendere meglio tutte quelle regole e quelle norme afferenti al mondo del lavoro, che attraverso la partecipazione al gioco si rivelano di più chiara comprensione e di facile apprendimento, evitando così di farli cadere nella deprecabile trappola dello sfruttamento lavorativo e del caporalato. Il progetto è iniziato a dicembre 2019 e ha visto coinvolti gli ospiti che fanno parte dei Progetti SIPROIMI “Vizzini minori” di Mineo e di Raddusa, diventati partecipanti attivi e interessati a questo gioco denominato “Play to Work”, verso il quale hanno trovato “un forte interesse”, così come sottolinea Manuela Scebba, l’intraprendente mediatrice culturale “multilingue” che ha gestito il gioco tra gli ospiti di diverse nazionalità, riuscendo a renderli partecipi e protagonisti. Questo progetto ludico-ricreativo, ma nello stesso tempo anche istruttivo, nato su input dell’ALS-MCL Sicilia, presieduta da Paolo Ragusa, e dall'Associazione Lavoratori Stranieri del Movimento Cristiano Lavoratori del Calatino. mira ad offrire (sotto forma di gioco) una informativa sul diritto del lavoro, fornendo nel contempo quante più nozioni possibili sulla sicurezza sul lavoro, sulla normativa in materia di previdenza e su tutti gli ammortizzatori sociali previsti per il lavoratore, come l’assegno famigliare, la maternità, le ferie, i bonus, la disoccupazione e altro ancora, tutti diritti spettanti a ogni lavoratore che può goderne solo se innestato in un contesto di un’attività occupazionale garantita da un regolare rapporto e contratto di lavoro. Non a caso, durante questo gioco vengono impartite nozioni sulle tipologie di contratti, sugli orari di lavoro, sul concetto di retribuzione e sulle possibili mansioni. Insomma, alla fine del gioco, i partecipanti vengono sensibilizzati sulla necessità di affidare il proprio futuro alla legalità e alla regolarità lavorativa. Maria Giovanna Bertolami e Ina Romano, facendo riferimento al “Play to Work”, sono pienamente concordi nel ritenere che “la formazione è tale quando l’arricchimento è reciproco. Pertanto il gioco risulta essere lo strumento più semplice per trasmettere le informazioni ai migranti e raccogliere le loro impressioni non sempre positive, ma sempre cariche di ottimismo, guardando al mondo del lavoro con la giusta consapevolezza acquisita grazie a questo gioco”. Al progetto “Play to Work” collaborano anche l’operatrice legale Maria Angela Piticchio e la mediatrice culturale Concetta Raniolo. (Nella foto, da sinistra a destra: Manuella Scebba, Maria Giovanna Bertolami e Ina Romano).   Salvo Cona