Libri e letture. Oriana Fallaci: "Lettera a un bambino mai nato"... e il dolore dell’aborto
- di Redazione Il Solidale
- 21 mag 2025
- OPINIONI

Santa Domenica Vittoria. Scritto da una grande autrice italiana, Oriana Fallaci, il romanzo Lettera a un bambino mai nato è stato il libro che meglio ha saputo raccontare lo strazio e il dolore feroce che una madre prova durante un aborto. Il testo è stato definito erroneamente come un manifesto abortista o antiabortista, a seconda dello sguardo. Invece, è un libro immenso, che tratta diverse tematiche, tra cui: la maternità, il rapporto tra la donna e il suo corpo (un rapporto interiore ma in cui tutte le istituzioni impongono decisioni o giudizi), la donna e il suo difficile ruolo nella società e l’amore. La Fallaci con la sua scrittura inequivocabile, arguta e diretta come poche, affronta di riflesso il dibattito sull’aborto che ha infiammato l’Italia negli anni Settanta, senza suggerire soluzioni o dare giudizi.
Il romanzo ti travolge in tutta la sua emotività: si rivolge a tutte le donne e le fa riflettere sul loro ruolo in quanto persone e soprattutto madri. Della protagonista non conosciamo quasi nulla che la caratterizzi fisicamente. Sappiamo che ha un lavoro, è economicamente indipendente, vive da sola, ha una relazione instabile con un uomo di cui rimane incinta. Le omissioni sono una scelta dell’autrice; la Fallaci punta sulla forza della narrazione, in modo che il lettore si soffermi sulle emozioni e gli stati d’animo della protagonista, e non sulle sue caratteristiche fisiche.
La donna parla al bambino che è sicura di aspettare, ancor prima dell’accertamento medico: “Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri. Esistevi. È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata”. È un incipit famoso, che mette in luce la profondità e la complessità del romanzo. Il conflitto è un sentimento chiave della storia, scandita con i tu che la donna rivolge al feto. Alla notizia della gravidanza, lei non è felice, va in crisi, si chiede se il bambino voglia veramente venire al mondo, un mondo meschino che ti divora nella sua crudeltà e indifferenza. Gli esseri umani sono spesso cattivi e nemmeno nella religione si trova conforto e pace. Insomma, venire al mondo non è una passeggiata, c’è da combattere, occorrono coraggio, benevolenza con i deboli, spietatezza con gli arroganti. La protagonista consegna al figlio la sua visione dell’uomo, non nega la bellezza di esistere, anzi sottolinea come lo sia ancor di più nei panni di una donna, nonostante le difficoltà e le umiliazioni subite.
La Fallaci spiega come la maternità, in tutte le sue fasi, comporta un momento di scelta da parte della donna che porta in grembo il bambino, la scelta di mettere al mondo una nuova vita o meno . La protagonista si interroga costantemente su come garantirli una buona vita al nascituro. Nel libro il bambino condanna la madre per la sua morte. La condanna riflette le emozioni e il dolore della protagonista. Nel rimandare l’intervento per raschiare via il feto morto, ella confessa di non riuscire a lasciare andare il bambino, non accettare la sua morte e la fine di quel sogno e quella nuova vita che aveva tante volte immaginato. Ma il dolore necessita di tempo per essere elaborato. E, insieme al dolore, si sviluppa anche il desiderio di vivere, di riacquistare la lucidità e sottoporsi all’intervento, anche se troppo tardi.
“Tu sei morto. Ora muoio anch’io. Ma non conta. Perché la vita non muore”. Con queste parole si chiude tristemente il romanzo. Perché il dolore ci uccide e ci segna per sempre. Se ne sta’ lì dietro l’angolo come un’ombra e riappare quando pensavamo di averlo sconfitto o perlomeno superato. Ma dal dolore è possibile guarire. Come disse C. S. Lewis, “Chiunque abbia avuto un dolore così grande da piangere fino a non avere più lacrime, sa bene che ad un certo punto si arriva a una specie di tranquilla malinconia, una sorta di calma, quasi la certezza che non succederà più nulla”. (Eva Casella)